Un’indagine rivela il peso dell’impronta ambientale di ogni capo comprato e restituito sul web: cifre da pelle d’oca, necessari interventi.
Quando si parla di acquisti online, il pensiero corre immediatamente a un ambito specifico ed estremamente fiorente in tal senso, ovvero quello della moda.
L’innegabile accessibilità di prezzo, varietà di modelli e taglie e l’incessante susseguirsi di mode e trend ha reso lo shopping di abiti online un capostipite dell’acquisto telematico.
Niente diventa accessibile senza conseguenze, ma nel caso degli acquisti online la situazione potrebbe ormai esserci sfuggita di mano, portando a conseguenze disastrose.
Una recente indagine sulla vendita di capi di abbigliamento, condotta da Greenpeace Italia e Report, ha gettato luce su una realtà inquietante: ormai non possiamo più rimediare ai danni.
L’indagine si è concentrata sul viaggio incessante dei capi d’abbigliamento nel mondo del fast-fashion online e sul suo impatto devastante sull’ambiente. Attraverso l’inserimento di localizzatori GPS in 24 abiti acquistati e restituiti tramite piattaforme di e-commerce, è emerso un quadro allarmante: in soli 58 giorni, questi pacchi hanno percorso una distanza incredibile di circa 100.000 chilometri, attraversando 13 Paesi europei e arrivando fino in Cina. Una media di 4.502 chilometri per ordine e reso, con distanze che variano da 1.147 a 10.297 chilometri.
I mezzi di trasporto utilizzati includono camion, aerei, furgoni e navi, evidenziando una rete logistica estremamente complessa. È stato scoperto che i 24 capi d’abbigliamento sono stati venduti e rivenduti complessivamente 40 volte, con una media di 1,7 vendite per capo, e restituiti ben 29 volte. È preoccupante notare che il 58% degli indumenti non è ancora stato rivenduto, aggiungendo ulteriori cicli di viaggio futuri. Questo incessante movimento di merci ha un costo ambientale significativo, con ogni ordine e reso che genera in media 2,78 kg di CO2 equivalente. Il packaging, sebbene rappresenti solo il 16% delle emissioni totali, continua comunque a contribuire in modo significativo all’impatto ambientale complessivo. La pratica del fast-fashion online, che offre spedizioni gratuite e costi minimi per i resi, potrebbe sembrare conveniente per i consumatori, ma il prezzo che paga l’ambiente è troppo alto.
Questa indagine evidenzia la necessità urgente di riconsiderare il modello di consumo attuale nel settore della moda. Le aziende devono assumersi la responsabilità della catena di approvvigionamento e adottare pratiche più sostenibili, riducendo gli sprechi e investendo in soluzioni che riducano l’impatto ambientale del trasporto e del confezionamento. I consumatori stessi devono essere consapevoli delle implicazioni delle loro scelte di acquisto e cercare alternative più sostenibili, come il supporto a marchi che si impegnano nella lotta per la trasparenza e la sostenibilità ambientale.
Inoltre, è essenziale che vengano promosse politiche e regolamenti che incentivino l’adozione di pratiche più sostenibili nell’industria della moda, rendendo obbligatorio il monitoraggio e la divulgazione dell’impatto ambientale delle operazioni di spedizione e restituzione. Solo attraverso un impegno collettivo e una consapevolezza diffusa possiamo sperare di invertire questa tendenza distruttiva e promuovere un futuro più sostenibile per il settore della moda e per il pianeta nel suo complesso.