Quando lo scherzo sul lavoro diventa un incubo | Sentenza durissima dalla Cassazione
Un ricorso alla Cassazione porta a una sentenza storica: condannato per aver esagerato sul posto di lavoro, senza possibilità di appello.
Può uno scherzo sul posto di lavoro trasformarsi in un procedimento legale? Pare proprio di sì.
È questo il caso di un esempio di sentenza, risalente a qualche anno fa, dove la Cassazione dimostrò la legittimità del licenziamento di un lavoratore in seguito ad un’analisi più approfondita delle circostanze.
La ragione? Gravissimi danni non solo ai colleghi, ma a tutta l’azienda. L’esempio di quanto accaduto continua a far parlare di sé ancora oggi.
Correva il 13 Febbraio 2015 quando venne stilata quella che sarebbe diventata la sentenza n.2904 della Corte di Cassazione di Torino…
Un esempio che ha creato delle nuove direttive
Fu proprio quest’ente, nella data già citata, a ritenere legittimo un licenziamento dovuto a continui e ripetuti scherzi ai danni dei colleghi e dell’azienda stessa, denunciato da parte di un lavoratore che mesi prima aveva deciso di contestare il licenziamento disciplinare inflittogli dalla società per cui lavorava, ritenendolo sproporzionato rispetto ai danni provocati.
In particolare, il lavoratore dichiarava di aver inserito carta e altri materiali di scarto nei sedili di alcune auto durante le operazioni di assemblaggio condotte da una collega. Oltre a cercare il reintegro in azienda, il lavoratore aveva richiesto il pagamento dell’indennità di mancato preavviso prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di riferimento. Inizialmente sembrava che le cose, per lui, si sarebbero risolte positivamente grazie alla decisione della Corte d’Appello di accogliere il ricorso per l’apparente illegittimità del licenziamento. Ma poi…
La sentenza definitiva: nessun rimborso
È stato il ricorso in Cassazione a ribaltare completamente il verdetto della Corte d’Appello. Tale ente ha infatti stabilito che il licenziamento rientrava sotto la definizione di giusta causa. La ragione principale di questa decisione è stata la continuità del comportamento del lavoratore, che, oltre a rappresentare un grave danno morale e/o materiale per l’azienda, costituiva un grave inadempimento degli obblighi di diligenza e correttezza.
In sostanza, il lavoratore aveva intenzionalmente causato danni permanenti al materiale e aveva danneggiato l’azienda dal punto di vista immateriale, mettendo in pericolo la sua reputazione presso i clienti, nel caso in cui non fosse stata rilevata la manipolazione e i sedili fossero stati consegnati ai clienti pieni di rifiuti. Una sentenza che ancora oggi fa parlare di sé, e che da molti è stata definita un esempio per tutte le direttive che l’hanno succeduta.