Nuova Diga Foranea di Genova: il progetto sale alla ribalta | Tutti i dettagli dell’imponente opera
Tutti i dettagli sul progetto della nuova Diga foranea di Genova: cifre, date e lavori.
La posa della prima pietra, la prospettiva di un’opera ingegneristica per certi versi avveniristica e, soprattutto, la spinta proveniente da quei fondi che, carte (e parole) alla mano, dovrebbero garantire la resilienza del Paese.
Il mega-progetto della Diga foranea di Genova sale alla ribalta in modo duplice: da un lato la garanzia di continuità progettuale e cantieristica data dai finanziamenti provenienti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (proprio il Pnrr), dall’altro l’etichetta di opera monstre, probabilmente il più importante progetto ingegneristico e infrastrutturale attualmente “cantierizzato”.
In realtà non è una novità assoluta, perché un’opera simile dinnanzi ai moli portuali del capoluogo ligure già esiste. Stavolta, però, in ballo non c’è solo la funzione di schermatura che la diga dovrà garantire rispetto al moto ondoso del Mar Ligure ma anche la possibilità di sopperire ai deficit di movimento che il precedente progetto aveva posto alle navi commerciali di maggiori dimensioni.
In sostanza, un rafforzamento del cordone di protezione marittima per uno dei principali porti italiani, con chiavi affidate al consorzio Webuild (con Fincantieri e Fincosit) e a questi rimaste in mano, nonostante il recente pronunciamento del Tar regionale che ha dichiarato illegittimo (per mancanza di requisiti) l’affidamento dei lavori. Nel momento in cui, di fatto, tali lavori erano già cominciati.
Diga foranea di Genova, PNRR e opposizioni: la situazione
Teoricamente, l’attivazione del progetto tramite i finanziamenti del Pnrr non dovrebbe figurare unicamente come un paracadute normativo rispetto alla garanzia di realizzazione del progetto, a prescindere dagli interventi del tribunale. Piuttosto, considerando i parametri di concessione europei e, soprattutto, i requisiti da rispettare affinché la disposizione dei fondi fosse autorizzata, il setaccio del Piano di resilienza dovrebbe assicurare la bontà infrastrutturale del progetto della Diga.
E, implicitamente, la pubblica utilità sia per la città che, per estensione, per il tessuto economico italiano, chiaramente dato dal potenziamento dello snodo commerciale genovese. Tuttavia, visto che nessuna imponente opera pubblica è a prova di attacco, anche la nuova foranea ha iniziato ad annoverare qualche opposizione.
In primis quella del coordinamento dei Comitati del Ponente che, nel corso del dibattito pubblico presso il Teatro dell’Archivolto, ha messo in evidenza non solo i costi eccessivi ma anche i presunti tempi lunghi e la possibilità che il fondale marino possa non sostenerla. Ad esempio, alcune considerazioni da parte di esperti hanno messo in dubbio l’effettiva possibilità che la consolidazione del fondale tramite colonne di ghiaia possa essere realizzata a profondità superiori ai 35 metri.
Una problematica che, chiaramente, è stata tenuta in considerazione in fase progettuale, dal momento che l’unica possibilità di mantenimento superficiale (e quindi il funzionamento tecnico) dipende proprio dalla solidità strutturale. In questo senso, si parla davvero di un’opera enorme.
La nuova Diga foranea: i dati tecnici
Da progetto, e al netto dei timori dei più perplessi, il costo dovrebbe aggirarsi attorno al miliardo e 300 milioni di euro. Fondi che saranno inizialmente impiegati proprio per l’opera di consolidamento dei fondali, tramite l’impianto di 2 mila tonnellate di ghiaia al giorno e, successivamente, di almeno 7 milioni di tonnellate di materiale roccioso per stabilizzare al meglio il fondo argilloso che costituisce la zona costiera di Genova.
Materiale che, per la maggior parte, dovrebbe provenire dalla vecchia Diga foranea, tanto (e non è poco) per ottemperare al dettame principe dell’Unione europea, che ha richiesto ai Paesi membri di adeguare i propri investimenti nell’ottica di un’economia sostenibile. O, come in questo caso, circolare.
L’obiettivo, sostanzialmente, è quello di garantire uno spazio di manovra più ampio per le navi cargo, dai poco più di 500 metri dell’attuale canale di Sampierdarena agli 800 circa dato dallo spostamento verso il largo del corpo principale della Diga. Tuttavia, anche dal punto di vista strutturale l’opera dovrebbe garantire un’efficienza migliore.
I circa 6 chilometri di lunghezza saranno raggiunti con il posizionamento di cassoni cellulari da 30 metri di larghezza e quasi 70 di lunghezza, che si estenderanno verso la superficie in altezza per oltre 30 metri. Le strutture saranno costruite su impianti galleggianti e trasportate sempre in galleggiamento per essere posizionate nei punti selezionati, per poi procedere all’immersione tramite un primo effetto riempimento con acqua marina, seguito da un consolidamento tramite versamento di materiale di recupero per una maggiore aderenza al fondale.
Uno dei punti contestati, ossia la validità dei gabbioni di ghiaia per il consolidamento dei fondali, dovrebbe essere ovviato da un sistema di monitoraggio costante, i cui sensori terranno d’occhio le eventuali criticità del suolo (variazioni, deformazioni, inclinamento) fino al raggiungimento della stabilizzazione ottimale.
Sarà comunque la prima fase, la disposizione della ghiaia, a occupare il prossimo anno e mezzo. Entro settembre 2024, da progetto, la stesa dovrebbe essere terminata, considerando anche l’intervallo tra il primo e il secondo ciclo di attività. Le strutture inali, saranno sormontate da un’ulteriore “spalla” che avrà il compito di arginare al meglio il moto delle maree, proteggendo il transito delle navi commerciali in entrata verso il porto di Genova.
Un nuovo scalo per una nuova economia
Ed è questo, per la verità, il punto focale dell’intera opera. Perché se è vero che il Pnrr punta sì alla resilienza ma anche alla ripresa economica del nostro Paese, è implicito che la spinta propulsiva alle attività commerciali farà, insieme, da pietra d’angolo e chiave di volta. Attualmente, i mercantili più imponenti puntano la prua in direzione del porto di Rotterdam, il più ampio dell’Occidente europeo, la cui capacità in termini di twenty-foot equivalent unit (Teu) dà più di 10 milioni di scarto a quella degli scali italiani, incluso quello di Genova.
La prossimità maggiore del primo attracco per le navi provenienti da Suez (e non solo) consentirebbe sia un risparmio di carburante che un aumento della capacità di approdo e di smistamento dei prodotti per i canali di distribuzione italiani. Il che, evidentemente, allargherebbe l’influenza di Roma nel complesso economico europeo. Per ora (quindi in fase di lavori in corso), l’impatto economico è già stimato in termini positivi, sia per l’impiego di forza lavoro (circa 1.000 operai) che per l’aumento in prospettiva del volume d’affari che coinvolgerà il porto genovese, presso il quale il transito dei carghi dovrebbe salire del 30%.
Risultato, la Liguria costituirebbe il primo e più importante punto d’approdo dei mercantili, la cui possibilità di ridurre i viaggi (e il conseguente dispendio di carburante) andrebbe a impattare positivamente sul piano della sostenibilità ambientale del progetto. Fermo restando che, per l’approvazione definitiva, la Diga è stata di default sottoposta alla valutazione dell’impatto sull’ambiente, dalla resistenza dei fondali fino al moto delle maree e agli ecosistemi marittimi. Tenendo peraltro conto dell’esistenza pregressa di un’opera del tutto simile, se non nella struttura perlomeno nelle unzioni.
Punti critici e prospettive future
È chiaro che, in termini assoluti, qualsiasi grande opera mette in conto di una percentuale di rischio. Tuttavia, in fase di approvazione dei progetti, le commissioni pongono un’attenzione particolare sulle soluzioni per la riduzione delle percentuali di impatto ambientale, sia durante la realizzazione dei lavori che a progetto ultimato. Per quel che riguarda la Diga foranea, ad esempio, un punto a favore del piano ingegneristico è stato considerato nell’utilizzo di materiali di recupero del progetto precedente, oltre che in una particolare schermatura acustica applicata attorno al cantiere per risparmiare la fauna marina dagli effetti dell’inquinamento acustico sottomarino.
Stesso discorso per la valutazione preventiva del rischio archeologico, la cui analisi è stata concertata con i Ministeri relativi e da essi passata al aglio, tramite la consulenza di esperti del settore. Chiaramente, con riferimento alla fase concorsuale, precedente all’intervento del Tar che ha definito inefficace l’affidamento dei lavori tramite bando, al netto del quale i piani concordati troveranno comunque attuazione.
Con la prospettiva di consegnare al nostro Paese uno scalo portuale rinnovato e adatto a rivestire un ruolo centrale nella era e propria ricostruzione economica post-pandemica. La fine dei lavori è prevista a novembre 2026, anche se i Comitati stimano una tempistica assai maggiore (almeno 14 anni) e costi decisamente superiori (perlomeno il doppio) rispetto a quanto preventivato. Le stesse prospettive di incremento della capacità di Teu è stata obiettata, riducendone gli effetti a circa 300 mila in più di quella attuale.
Le normative vigenti sul Pnrr hanno comunque perlomeno evitato l’interruzione dei lavori a meno di dieci giorni dalla posa della prima pietra. Il che, secondo il presidente della Liguria, Giovanni Toti, significa un importante passo avanti per il futuro di Genova. E non solo. Del resto, non è un mistero che la riduzione dei percorsi dei carghi maggiori possa portare un notevole vantaggio, sia sul piano economico che ambientale.
Quando la Ever Given, il 23 marzo 2021, aveva finito per incagliarsi sul fondale sabbioso del Canale di Suez, il 12% delle merci mondiali (tanto di lì passa) era stato costretto a un’attesa di oltre una settimana o a un allungamento delle rotte di oltre 10 giorni, con dispendio evidente di carburante per raggiungere i porti del Nord Europa.
Tanto per dare il peso della necessità di ottimizzare i tempi e, soprattutto, i costi dei trasporti.
In questo senso, uno scalo centrale come quello di Genova non andrebbe solo a rafforzare il ruolo dell’Italia nel contesto degli scambi commerciali ma anche (sempre potenzialmente) a innescare un effetto domino sulle infrastrutture terrestri per lo smistamento delle merci nel Continente.