Da Nord a Sud, dalla Diga Foranea di Genova al Ponte sullo Stretto: i due progetti cambiano l’Italia
Rivoluzione globale nelle infrastrutture della Penisola: due progetti possono realmente cambiare il volto dell’Italia per come la conosciamo oggi.
Se l’obiettivo è quello di garantire una competitività italiana nell’economia dell’immediato futuro, e tenendo il Pnrr come punto di partenza, l’aggiornamento infrastrutturale della Penisola appare la prima e più immediata necessità. Sia nell’ambito della circolazione ordinaria che per quel che riguarda le opere straordinarie. Per quel che riguarda il Gruppo Webuild, in ballo c’è una linea di collegamento immaginaria tra Nord e Sud, che unisce la Diga foranea genovese al sempreverde dibattito sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Tema annoso che, in termini di valutazione dell’impatto ambientale e di convenienza logistica, fa discutere il nostro Paese già da qualche decennio. Con l’avvicendamento al Governo, è stata nuovamente proposta la presa in carico del progetto, con Webuild che, tramite il Consorzio Eurolink (designato per la progettazione dell’infrastruttura), punta a valorizzare i giovani professionisti (e futuri professionisti) del Sud Italia, ai quali intenderebbe affidare la messa a punto dell’opera.
Un progetto chiaramente futuribile ma che, rispetto alla schermatura al moto ondoso del Mar Ligure dinnanzi a Sampierdarena, dovrà scontrarsi con una resistenza ben maggiore, in primo luogo quella delle attività marittime che operano tra Messina e Reggio Calabria. Nondimeno, i rischi segnalati per il paesaggio di Capo Peloro e della riserva dei Laghi, anche in questo caso palesati dai comitati oppositori del Ponte.
Ponte sullo stretto: la resistenza del Mezzogiorno
Significativo che, negli ultimi giorni, persino l’intelligenza artificiale di ChatGPT sia stata chiamata in causa per indicare le eventuali criticità di un’opera simile, col sistema a indicarne addirittura sette, perlopiù sul piano geologico ambientale piuttosto che su quello finanziario (pur considerando anch’esso un punto critico). Qualche giorno fa, il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva prospettato un futuro come «simbolo della nuova Europa nel Mediterraneo» del Ponte sullo Stretto, in merito al quale si era detto convinto della sua valenza come «opera strategica fondamentale infrastrutturale».
Tuttavia, il rischio è che il dibattito sulla realizzazione dell’opera possa essere più duraturo delle buone intenzioni. Non si tratta solo di vincere la resistenza di chi ritiene il braccio di mare che separa la punta dello Stivale dalla Sicilia (e i suoi paesaggi) a rischio di deterioramento ma anche una serie di attori ambientali che richiederebbero una valutazione approfondita e costi inevitabilmente elevati per ridurre al minimo le percentuali legate al rischio sismico e all’impatto delle correnti marine.
Senza contare che, stavolta, la prospettiva di uno sviluppo economico dai risultati pressoché immediati non andrebbe a sostenere la causa. Almeno non nelle prime fasi di dibattito. Del resto, se il Ponte sullo Stretto stimola da così tanti anni la discussione sia dal punto di vista tecnico che dell’opinione pubblica, un motivo c’è. Sull’altro lato della bilancia, però, c’è l’altra prospettiva, ben più affascinante, di una possibile chance per gli ingegneri del Sud di contribuire direttamente al futuro delle proprie terre. Sia in un senso che nell’altro. Sia che l’opera venga realizzata oppure no. In un senso o nell’altro, se la chiamata fosse reale, il finale della storia della più importante opera (ipotetica) del Mezzogiorno potrebbe essere decisa dal Mezzogiorno stesso.