In diversi paesi europei il salario minimo è una realtà ben consolidata ed è oggetto di discussioni e rivisitazioni. In Italia invece questo passo sembra ancora lontano per il momento
Il salario minimo è un tema sempre piuttosto caldo in Europa. In alcuni paesi è già stato istituito da molto tempo e con risultati piuttosto soddisfacenti. In Lussemburgo questa quota supera addirittura i 2.000 euro mentre in Bulgaria è poco al di sopra dei 300 euro. In entrambi i casi però è più o meno commisurato con il costo della vita.
In Grecia invece è stata presa un’importante decisione a riguardo così come annunciato dal premier ellenico Kyriakos Mitsotakis. Un passo in avanti importante che sicuramente farà piacere ai cittadini greci. E in Italia? Andiamo ad approfondire tutte queste situazioni riguardanti il salario minimo in giro per i paesi dell’Unione Europea.
In Grecia dal prossimo 1 aprile lo stipendio più basso percepibile sarà di 780 euro. Si tratta di un aumento del 9,4% nonché del terzo intervento di questi tipo attuato da governo conservatore insediatosi nel 2019, quando il salario minino era fissato a 650 euro. Nonostante ciò il premier greco è consapevole che i salari sono ancora bassi, soprattutto a causa dell’inflazione che sta regnando sovrana in questa fase.
Si tratta comunque di un primo passo che ha come obiettivo quello di migliorare la situazione a livello generale sia nel settore pubblico sia in quello privato. Una boccata d’ossigeno che a prescindere non fa mai male. In Italia invece il salario minimo per il momento resta una chimera. La premier Giorgia Meloni ha ribadito che questa soluzione almeno per ora non sarà presa in considerazione.
A suo modo di vedere infatti potrebbe addirittura togliere dei diritti ai lavoratori italiani: “Temo che una fissazione per legge diventi non una tutela aggiuntiva rispetto ad una contrattazione collettiva ma sostitutiva e questo finirebbe per fare un altro grande favore alle grandi concentrazioni economiche che hanno come obiettivo rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori”.
Eppure i risultati a livello mondiale sono piuttosto soddisfacenti. In alcuni stati degli Usa ad esempio ha portato ad un aumento dei dipendenti full nel settore dei fast food. In Gran Bretagna invece ha comportato un aumento della produttività delle aziende, che hanno risposto all’aumento del costo del lavoro con miglioramenti organizzativi e maggiore formazione. In Brasile è servito per creare meno disuguaglianza salariale e la disoccupazione non ha subito aumenti.