Ci sono dei periodi in cui il datore di lavoro non può licenziare i propri dipendenti senza rischiare l’impugnazione dello stesso. Nel dettaglio, nei seguenti casi il licenziamento è considerato nullo, con il reintegro al lavoro e il rimborso delle retribuzioni spettanti per il periodo intercorso:
- matrimonio della lavoratrice: ai sensi dell’articolo 35, D.Lgs. 198/2006, è vietato il licenziamento nel periodo che va dalla richiesta di pubblicazione a un anno dopo la celebrazione delle nozze, regola che tuttavia vale solamente per le dipendenti;
- gravidanza e maternità: per quanto riguarda le lavoratrici vi è un secondo vincolo, in quanto il datore di lavoro non può procedere con il licenziamento nel periodo compreso tra l’inizio del periodo di gravidanza all’anno di età del bambino, come stabilito ai sensi dell’articolo 54 del D.Lgs. 151/2001;
- infortunio o malattia: non si può licenziare il dipendente nel periodo di malattia o infortunio. Tuttavia, legge e contratti collettivi fissano un termine, conosciuto come periodo di comporto, oltre il quale se l’assenza si prolunga è possibile comunque recedere unilateralmente il contratto;
- richiamo alle armi: ormai in disuso, speriamo per molti anni ancora, il divieto di licenziamento per il lavoratore che viene richiamato alle armi. Il divieto resta valido fino a 3 mesi dalla ripresa dell’occupazione;
- sciopero: come stabilito dalla Legge n. 300/1970 non è possibile licenziare un dipendente che partecipa ad azioni di sciopero;
- incarichi sindacali: il divieto di licenziamento vale anche nei confronti dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali e dei membri di commissione interna. Il vincolo sussiste fino a un anno dalla cessazione dell’incarico, mentre è solo di tre mesi dalle elezioni per i candidati non eletti.
Assolutamente vietato anche il licenziamento discriminatorio, inteso come quel recesso che è determinato da ragioni di tipo politico o di fede religiosa, come pure dal fatto che il dipendente partecipi attivamente alle attività sindacali. Si considera come licenziamento discriminatorio anche quello motivato da ragioni di etnia, lingua od orientamento sessuale.